mercoledì 19 ottobre 2011

Eventi Cultura...

"FRANCESCO MALAGUZZI VALERI. TRA STORIOGRAFIA ARTISTICA, MUSEO E TUTELA":
20 E 21 OTTOBRE IL CONVEGNO DI STUDI
Giovedì 20 e venerdì 21 ottobre avrà luogo a Bologna il convegno di studi
"Francesco Malaguzzi Valeri (1867-1928) Tra storiografia artistica, museo e
tutela". Il Convegno che si svolge all’interno di un più complesso progetto
scientifico che vede in contemporanea l’allestimento di due esposizioni
temporanee nei luoghi e nelle istituzioni museali in cui il Malaguzzi
Valeri prestò servizio (Le Collezioni comunali d'Arte e Il Museo Davia
Bargellini) ha preso il via già mercoledì 19 ottobre a Milano, presso
l'Università Cattolica e proseguirà a Bologna domani, giovedì 20 ottobre
dalle ore 9.30 del mattino nell'aula Cesare Gnudi della Piancoteca
Nazionale e venerdì 21 ottobre dalle 9 del mattino nella sala del Lapidario
del Museo Civico Medievale.
Fra gli enti promotori dell’iniziativa vi sono l’Università Cattolica del
Sacro Cuore di Milano e la Pinacoteca Nazionale di Brera, l’Università
degli Studi di Modena e Reggio Emilia, l’Università degli Studi di Bologna,
i Musei Civici d’arte antica, la Sovrintendenza e la Pinacoteca Nazionale
di Bologna.

Info e programma completo
www.comune.bologna.it/iperbole/MuseiCivici/museicivici2000ita/homenews.htm

Ancora oggi, a ottant’anni dalla sua scomparsa, la figura di Francesco
Malaguzzi Valeri (Reggio Emilia 1867- Bologna 1928) è circondata da
un’aurea di mistero. Morto suicida il 23 settembre 1928, o naturalmente per
arresto di cuore, ipotesi poco attendibile ma che riportarono alcuni
giornali dell’epoca probabilmente per coprire la realtà e lo scandalo, lo
studioso reggiano fu subito investito da una sorta di damnatio memoriae,
che possiamo certamente affermare sopravviva, in parte, ancora oggi,
sebbene senza più alcun accanimento, ma tale che agli studiosi più giovani
non è dato sapere più di quanto dovuto riguardo la sua tragica fine
Non solo. Allo stato attuale degli studi, forse a causa di una fortuna
critica a lui avversa proprio a seguito di quei drammatici fatti, la sua
figura di storico d’arte, conservatore e museologo è fra quelle meno
indagate dalla storia della critica d’arte, anche della più recente.

Se per quanto riguarda Malaguzzi a Milano, dunque gli anni di Brera,
sebbene non sia ancora possibile avere i dettagli precisi delle iniziative
che si andranno a sviluppare, certo è che il progetto viene a essere
coordinato dal Prof. Alessandro Rovetta - a Reggio Emilia, già nominata
sede della giornata inaugurale del convegno, si sta occupando
dell’organizzazione sempre il Prof. Rovetta - a Bologna è intenzione delle
diverse istituzioni pubbliche in cui prestò servizio lo storico reggiano,
insieme all’Alma Mater, dare corso a un progetto scientifico comune che
possa rendere giustizia agli anni che videro il Malaguzzi impegnato
incessantemente nel capoluogo emiliano in qualità di Sovrintendente,
direttore della Pinacoteca e fondatore del Museo Davia Bargellini.
Verso la fine del secondo decennio del secolo scorso egli diede corpo
all’idea di fondare a Bologna un museo d’arte decorativa in cui poter
raccogliere ed ordinare la ricca suppellettile che si conservava
inutilizzata nei magazzini degli uffici pubblici, delle opere pie e delle
chiese cittadine che lui stesso aveva avuto la possibilità di conoscere da
quando aveva ricevuto l’incarico di soprintendente ai monumenti della
città. Il nuovo interesse storico e critico per quei particolari prodotti
artigianali e industriali, la “tendenza, fattasi generale in quegli anni,
verso una più giusta valutazione dell’importanza delle arti minori e
industriali e del moltiplicarsi dei musei d’arte decorativa che già erano
sorti o andavano sorgendo a Milano, a Torino, a Venezia, a Firenze, a
Roma”, trovò definitiva concretizzazione in città fra il 1917 e il 1924 con
la nascita del Museo d’Arte Industriale sito in palazzo Davia Bargellini
all’epoca di proprietà dell’Opera Pia.
Quello degli anni”, come ebbe ad affermare qualche tempo fa Eugenio
Riccomini, “intorno alla prima guerra mondiale era il momento dei musei
arredati che somigliavano o che volevano somigliare ad abitazioni
lussuose”, di quelle case-museo o di quei musei d’ambientazione, che sempre
più si allestivano in Italia e che necessitavano per loro stessa indole e
volontà di rievocare nelle persone che li visitavano sensazioni ed
atmosfere tali da riuscire nel difficile compito di proiettarle, anche solo
per poche ore, in un passato e una vita quotidiana che oramai era troppo
lontano dalla loro sensibilità moderna. Lo scopo o almeno uno degli scopi
dell’allestimento di quelle collezioni era perciò di aiutare l’artigiano,
l’artista, lo studioso o il comune visitatore alla conoscenza dei tempi che
furono, quanto dello spirito che li animò perché, come ebbe a scrivere il
Malaguzzi Valeri, la “storia delle epoche trascorse non può essere
completamente intesa senza lo studio e l’ammirazione degli ambienti entro i
quali esse nacquero e si svolsero”.
L’ambiente che si voleva evocare nelle numerose sale approntate da
Malaguzzi Valeri nel primo piano del palazzo Davia Bargellini - sede più
che mai adatta a preparare e a introdurre con il suo fastoso scalone il
visitatore al trionfo del barocco petroniano - era certamente quella del
riscoperto e ora sempre più indagato Settecento bolognese, la cui anima
veniva a manifestarsi materialmente nella luce dei ricchi apparati, nei
mobili elegantissimi, nelle piccole terrecotte così come nelle cornici
dorate degli specchi e dei dipinti, tutte opere felicemente collocate, o
meglio ambientate, in maniera tale da riuscire nel compito di richiamare il
passato del fastoso XVIII secolo.
Di certo si può affermare che questo recupero alla conoscenza dei secoli
barocchi il Malaguzzi Valeri l’avesse già avviato pochi anni prima quando,
in qualità di direttore della Pinacoteca bolognese, si era fatto promotore
del nuovo assetto della più importante collezione cittadina: “da anni, anzi
da decenni, abbandonata in poche sale in cui quadri grandissimi e piccoli,
tele di valore e opere mediocri si affastellavano fino al soffitto, persino
in tre file, la maggiore Galleria emiliana reclamava provvedimenti radicali
e cure armoniose”. Il riordino voluto dal nuovo direttore, attuato anche
grazie anche agli ampliamenti dell’antico edificio realizzati in parte sui
progetti di quell’Edoardo Collamarini che tempo addietro era stato una
delle punte di diamante della gilda rubbianesca, garantiva la
valorizzazione di un gruppo di sale dedicate al Seicento e al Settecento
per mettere in evidenza l’opera di artisti a quegli anni quasi dimenticati
dalla critica.
La scuola bolognese del Seicento trovava luogo nelle stanze, ornate e
arredate da ricchi mobili dell’epoca, del nuovo braccio del palazzo -
realizzato in luminosissimi locali a lucernai centrali, così funzionali da
essere mantenuti nell’ancora attuale percorso creato da Leone Pancaldi a
partire dagli anni cinquanta del Novecento -, che culminava nella
grandissima sala ottagonale. Nella medesima eleganza architettonica le sale
dedicate al XVIII secolo furono arredate con damaschi rossi alle pareti sui
cui si stagliavano magnifiche cornici dorate, poltrone e consoles
intagliate e nobili apparati che volevano, come nella galleria Davia
Bargellini, rendere giustizia a una particolare atmosfera e luce, a un
passato che con ricercatezza si aspirava a ricostruire nella sua anima e
intimità quotidiana e che trovava la sua definitiva consacrazione nel
sublime salone dei settecentisti bolognesi, allestito ex novo insieme alla
saletta dei ritratti, destinato a ospitare dipinti del Franceschini, di
Vittorio Maria Bigari, Burrini, Donato Creti, Ubaldo e Gaetano Gandolfi,
nonché di Giuseppe Maria Crespi - l’unico fra i citati a godere a quelle
date di una certa fortuna critica - a cui si aggiungevano “terrecotte del
Piò e del Mazza che sembravano ispirate ai vicini quadri” e che rendevano
la Pinacoteca di Bologna come una delle più signorili e piacevoli gallerie
d’Italia.
Comune di Bologna - Ufficio Stampa 

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