mercoledì 7 ottobre 2015
"PIU' MODERNO DI OGNI MODERNO"
Sarà Dacia Maraini a inaugurare, mercoledì 7 ottobre alle 18, alla
Biblioteca Renzo Renzi della Cineteca, in Piazzetta Pasolini, 3, il ciclo
di incontri dedicati alla figura di Pier Paolo Pasolini, fulcro della
riflessione sulla sua opera artistica e intellettuale promossa dal Comune
di Bologna e dalla Cineteca per ricordare il 40° anniversario della
scomparsa, avvenuta il 2 novembre 1975.
"Più moderno di ogni moderno. Pasolini a Bologna" questo il titolo del
progetto speciale che raccoglie l’ampio ventaglio di iniziative legate a
Pasolini e che ospiterà all'interno del suo programma Dacia Maraini,
protagonista del primo appuntamento del ciclo di conferenze "Pasolini poeta
dell’eresia", realizzato in collaborazione con L’Università di Bologna –
Scuola di Lettere e Beni culturali, curate da Roberto Chiesi, responsabile
del Centro Studi – Archivio Pasolini della Cineteca di Bologna.
Dacia Maraini prenderà le mosse dalla figura del doppio che attraversa
l’intero romanzo incompiuto di Pasolini, Petrolio (scritto fra il 1972 e il
1975): non solo il protagonista ha una doppia natura sessuale, maschile e
femminile, ma anche la realtà è sdoppiata, fra l’universo ambiguo e torbido
dell’industria e degli interessi che gravitano intorno al petrolio, agli
intrighi, agli omicidi o ai traffici di corruzione che si consumano nel
mondo politico e finanziario, fino ad una serie di visioni – di grande
forza espressiva – dove Pasolini sovrimprime la descrizione dell’immagine
dell’Italia popolare di un tempo alla degradazione infernale attuale.
Ma il tema del doppio attraversa in realtà l’intera opera di Pasolini e la
Maraini ripercorrerà anche le poesie della Nuova gioventù (1973-1974), dove
il poeta si immagina sdoppiato in un morto che torna a visitare i luoghi
della giovinezza e li vede orrendamente mutati.
Dacia Maraini intervistò Pasolini nel 1971: l’intervista confluì poi nel
volume E tu chi eri? (Bompiani, Milano 1973).
Di seguito un estratto:
Sei nato a Bologna, vero? In che anno?
Nel 1922.
Qual è il primo ricordo che hai della tua infanzia?
Mi ricordo di quando avevo un anno. Ricordo la camera dove dormivo. Era la
sala da pranzo e la mia culla stava in un angolo addossata al muro. Di
fronte c’era una grande alcova di legno dove dormiva la mia nonna. Ricordo
anche un divano che poi ci ha seguiti per tutta la vita. Il bracciolo di
questo divano si rovesciava e scopriva la struttura di legno. Io su questo
legno disegnavo con la matita un’automobile e la chiamavo Ru-pepé.
Hai una memoria molto buona. Ricordi altro?
Ricordo i giardini Margherita; una strada di Bologna dove passeggiavo con
una mia zia e davanti a lei usavo impuntarmi perché volevo tornare a casa
in carrozza. Hanno cercato di convincermi, mi hanno sgridato. Ma ho vinto
io. I miei capricci erano violenti e assoluti.
Tuo padre che mestiere faceva ?
Mio padre era ufficiale di fanteria. Nei primi anni della mia vita per me
lui è stato più importante di mia madre. Era una presenza rassicurante,
forte. Un vero padre affettuoso e protettivo. Poi improvvisamente, quando
avevo circa tre anni, è scoppiato il conflitto. Da allora c’è sempre stata
una tensione antagonistica, drammatica, tragica fra me e lui.
A Bologna quanto siete rimasti?
Solo un anno e mezzo. Poi siamo andati a Parma, a Belluno, a Conegliano.
Ogni anno cambiavamo città. Di Parma mi ricordo solo un porcospino. Ricordo
un grande viale di periferia e in mezzo alla strada un porcospino. Ero
molto incuriosito da quell’animale. Ma quello che mi colpiva di più era il
suo nome. Mi chiedevo: ma perché porco?
A che età hai cominciato a parlare?
Prestissimo. E ho imparato a scrivere a quattro anni.
Com’eri da bambino?
Come adesso. Solo più buffo. Ero ingenuo, credulone. Molto capriccioso. Mi
entusiasmavo facilmente. Volevo capire le cose, ero curioso e testardo.
Eri chiuso?
No. Ero timido. Impacciato.
Cos’è che ti piaceva di più al mondo a quell’età?
Mi piacevano le storie, i racconti, il sapere. Le nozioni sul mondo.
Tua madre ti raccontava delle storie?
Sempre. Mi raccontava storie, favole, me le leggeva. Mia madre era come
Socrate per me. Aveva e ha una visione del mondo certamente idealistica e
idealizzata. Lei crede veramente nell’eroismo, nella carità, nella pietà,
nella generosità. E io ho assorbito tutto questo in maniera quasi
patologica.
Tua madre ha mai lavorato?
Sì, ha fatto la maestra. L’anno dopo, a Conegliano, è cominciata una serie
di sogni in cui sognavo di perdere mia madre e l’andavo a cercare in una
città che era Bologna. La cosa strana è che Bologna io me la ricordo
soprattutto attraverso quei sogni. L’incubo finiva con delle scale che io
salivo correndo, sempre cercando mia madre disperatamente. Poi mi svegliavo
nel letto dei miei genitori. In quell’epoca è cominciata una forma di
nevrosi cardiaca. Avevo imparato che il cuore è il motore della vita ed ero
preso dall’improvvisa paura che smettesse di battere.
Quanti anni avevi?
Quattro.
E dopo ne hai più sofferto di questa paura?
Sì, circa un anno dopo a Casarsa, in seguito a non so che disastro
economico. Mio padre aveva fatto dei debiti ed era in mezzo ai guai. Mia
madre è tornata a fare la maestra. In quell’epoca dormivo nel letto con
lei.
E poi hai sofferto ancora di tale nevrosi?
Sì, ancora una volta mi ha ripreso a Bologna, quando avevo diciassette
anni. Una notte mi sono svegliato con la sensazione che il mio cuore non
battesse più.
Ma soffrivi veramente di mal di cuore?
No, fisicamente stavo benissimo. Sono sempre stato forte e sanissimo. Era
soltanto una forma di angoscia.
Tu una volta hai detto che l’angoscia è lo stato naturale della tua vita.
Che cos’è che ti fa soffrire?
La mia sofferenza è dovuta al fatto che per me una disgrazia non è mai
quella disgrazia lì, ma una disgrazia cosmica, che mette in forse tutto me
stesso. Ogni scacco per me è uno scacco totale.
Ma ne parlava mai, con te, del suo passato tuo padre?
No, mai. Mio padre era un uomo passionale, sensuale, disorientato e nel
momento che ha abbracciato l’ordine, l’ha fatto sul serio. È diventato
nazionalista fascista.
Non ti parlava mai della sua giovinezza?
No. Era orgoglioso delle sue origini nobiliari. Era orgoglioso soprattutto
di un fratello che si chiamava Pier Paolo e scriveva poesie. Questo
fratello è morto a venti anni, in mare, affogato mi pare.
È per quello che ti hanno chiamato Pier Paolo?
Sì. E la cosa strana è che mio padre, per amore di questo suo fratello
morto ragazzo, ha appoggiato la mia aspirazione poetica, quasi perfino
contro se stesso. Io fino ai sedici anni volevo fare l’ufficiale di marina.
Lui invece diceva che dovevo fare lettere. Poi naturalmente i suoi
incoraggiamenti si sono ritorti contro di lui.
Perché ritorti?
Perché lui attribuiva alla poesia un carattere ufficiale. Non pensava che
potesse essere eversiva, scandalosa. Lui pensava a Carducci, a D’Annunzio.
A che età hai cominciato a scrivere poesie?
A sette anni, in terza elementare, a Sacile.
Com’erano queste poesie?
Erano poesie “elette”, nella tradizione petrarchesca. Da allora ho scritto
sempre. Ho una intera cassapanca di scritti infantili.
Qual è stato il primo libro non per ragazzi che hai letto?
Macbeth. Improvvisamente a quattordici anni, a Bologna, ho fatto il salto
qualitativo. Ho scoperto i Portici della Morte dove compravo i libri di
seconda mano. Ho smesso di credere in Dio. Tutto insieme.
La tua famiglia era religiosa?
Mia madre aveva una religione dolce, contadina. Mio padre ci portava in
chiesa, ma era una cosa ufficiale di cui non gli importava niente.
E adesso credi in Dio?
No. La fede mi è passata così, a quattordici anni, dalla sera alla mattina.
Ma tu hai sempre mostrato attrazione per il cristianesimo.
L’interesse per il cristianesimo è nato dopo la guerra, sotto l’incubo
quotidiano della morte, a contatto con il mondo contadino di Casarsa.
Attraverso l’estetismo ho riscoperto la religione.
Torniamo indietro. Alla quinta elementare.
Alla quinta elementare è successo un fatto inaudito. Sono stato bocciato in
italiano scritto. Hanno accusato il mio tema di essere troppo poetico.
Ci sei rimasto molto male?
Malissimo. Ero abituato a riuscire bene in tutto, specialmente in italiano.
Più moderno di ogni moderno. Pasolini a Bologna
Mercoledì 7 ottobre, ore 18, Biblioteca Renzo Renzi (Piazzetta Pasolini,
3/b)
INCONTRO CON DACIA MARAINI
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