venerdì 1 novembre 2013

Eventi LOCOMOTIVCLUB


Express è una rassegna di  concerti dedicata al meglio della musica nazionale ed internazionale prodotta con il contributo del Comune di Bologna e il patrocinio del Quartiere Navile. La rassegna si svilupperà nel periodo compreso tra Novembre 2013 e Giugno 2014. 
Di seguito le quattro date fissate entro la fine del 2013:
martedì 5 novembre , in collaborazione con Goldmine Factory HALF MOON RUN (CAN) + FOLLY & THE HUNTER (CAN) unica data italiana 
martedì 12 novembre THESE NEW PURITANS (UK) unica data italiana 
giovedì 5 dicembre CALIFONE (U.S.A.) + AEDI (ITA) 
venerdì 13 dicembre DIRTY BEACHES (CAN) unica data italiana 
Express ha in precedenza ospitato (in varie locations a Bologna): Lydia Lunch, Boss Hog, Psychic Tv, God Is An Astronaut, Matmos, Sunn O )), Zu, Mouse On Mars, Kill The Vultures, Jamie Lidell, FourTet, Caribou, Liars, Le Luci Della Centrale Elettrica, Thee Silver Mt Zion Memorial Orchestra, These New Puritans, Wild Beasts, James Blake, Massimo Volume.
La rassegna rispecchia nella sua composizione l’essenza del Locomotiv Club, ricalcandone l’attenzione per la qualità, la tempestività nel proporre artisti prima della loro ascesa e la trasversalità nelle proposte musicali.
Tutti i concerti si terranno al Locomotiv Club, l'ingresso è riservato ai soci AICS.
Sono disponibili in numero ridotto abbonamenti cumulativi per i 4 concerti al costo di euro 35 euro. L'abbonamento sarà disponibile all'acquisto esclusivamente al Locomotiv martedì 5 novembre in occasione della serata inaugurale della rassegna.

HALF MOON RUN + FOLLY & THE HUNTER live
Ingresso 10 euro, disponibile servizio prenotazione biglietti, tessera aics obbligatoria, costo tessera 8 euro, apertura ore 21:30, inizio concerti ore 22:30.
Per prenotare scrivere a prenotazionebiglietti@locomotivclub.it

I canadesi Half Moon Run dopo aver aperto i tour di Of Monsters And Men, Metric, Patrick Watson e Mumford & Sons e dopo esser saliti sui palchi del Glastonbury, Lollapalooza e Reading Festival suoneranno al Locomotiv, ospiti del primo appuntamento della nuova stagione della rassegna Express. In apertura si esibiranno Folly & The Hunters. Il concerto è prodotto e promosso in collaborazione con Goldmine Factory.
E’ raro trovare una band con un tale straordinario senso di comunione come gli Half Moon Run. Ascoltare la loro musica, vederli suonare, più che ascoltare le loro canzoni significa origliare una conversazione musicale; si tratta di una convocazione, una sorta di cerimonia, è come essere colpiti dalla sensazione che si sta guardando qualcosa che disegni una fiamma e prenda fuoco.
E’ iniziato tutto a Montreal, dove la band si era diretta autonomamente per la scuola e il lavoro. C’era un annuncio su Craigslist, una band composta da perfetti sconosciuti.
La band si costruiva inizialmente su mezze promesse, uno schema disegnato basato semplicemente su riferimenti musicali, ma ben presto divenne qualcosa di molto di più di una semplice circostanza e convenienza. Lentamente si piantavano le radici di una relazione tra i quattro musicisti. Un matrimonio, lo chiamarono. Individualmente sono rimasti ampollosi e non comparabili, ma come band hanno trovato una singolare unità, diventando più articolati.
Per molto tempo non sapevo come interagire con questi ragazzi” dice Dylan il batterista. “In realtà, se non ci fosse stata la musica a coinvolgerci, non avrei avuto niente a che fare con loro. Abbiamo imparato a parlare adesso, e siamo degli ottimi amici, ma all’inizio mi piaceva l’aspetto misterioso di questa cosa. E tutto questo alone di mistero ha giocato un ruolo fondamentale nella musica che stavamo scrivendo, perché non ci conoscevamo abbastanza l’uno con l’altro, e così era particolarmente eccitante suonare la batteria e sentire sopra un giro di chitarra al quale non avrei mai pensato, e non sapere quale fosse il modo migliore per dire a quella persona che mi piaceva quello che stava suonando. La comunicazione era veramente onesta, reale ed eccitante nel senso della musica, in realtà non ci parlavamo quasi."
Questa inusuale forma di comunicazione li ha portati ad un crescente senso di fiducia – Conner dice di fidarsi più dell’opinione dei suoi compagni che della sua. Dylan descrive la gioia di essere giusto un componente della canzone.
Per tutti loro, la band ha offerto una nuova forma di espressione, per Devon è stata la qualità terapeutica del canto; per Dylan, era la possibilità di esplorare nuovi territori al di là del mondo classico. Imparare a suonare la batteria si è rivelata particolarmente liberatorio per lui. “E’ come un istinto animale per me. Non so davvero quello che sto facendo.
Definire la loro musica è un compito arduo. A volte richiamano la leggiadria di Jeff Buckley, l’intensità musicale, l’armoniosa dolcezza; altre volte l’atteggiamento punk, un’influenza art rock, un tocco deiRadiohead. Ma scivolano attraverso i vari generi
“Non credo che siamo una band sui generi” dice Conner. “Potreste dire che siamo una folk band, ma è difficile pensare la folk music come un genere musicale”. “Fondamentalmente” dice Dylan, “questa musica è una cosa onesta per tutti noi. Anche il modo di pensare e di sentirci è differente, ciò che portiamo quando suoniamo musica insieme è l’onestà.”


THESE NEW PURITANS live
UNICA DATA ITALIANA!
Biglietti disponibili in prevendita suTicketOne! Ingresso 18 euro + d.p, tessera aics obbligatoria, costo tessera 8 euro, apertura ore 20:30, inizio concerti ore 22:30.

Tra i migliori esempi dell’Art Rock Londinese, tornano al Locomotiv in occasione del secondo appuntamento della stagione con Express i These New Puritans, una delle band più importanti della nuova scena elettronica inglese, per presentare il nuovo acclamato “Fields of Reeds”.
Dopo il successo del precedente lavoro Hidden, These New Puritans tornano in concerto in Italia a supporto del nuovo album Fields Of Reeds pubblicato a giugno per Infectious Music, e che ha ricevuto critiche positive ed entusiastiche da parte della stampa specializzata.
La band londinese guidata da Jack Barnett fa il suo debutto discografico nel 2008 con Beat Pyramid, album dal sapore post punk che lascia già presagire lo spessore artistico del gruppo britannico, confermato poi nel 2010 dall’acclamato secondo disco Hidden, caratterizzato da un sound decisamente più potente ed energico del suo predecessore e nominato “Album Of The Year” da NME.
Con il nuovo Fields Of Reeds These New Puritans fanno un ulteriore passo avanti, con un lavoro ambizioso, suggestivo ed eclettico, che abbatte le barriere tra i generi musicali spaziando dal jazz, alla sperimentale, alla sinfonica. «La musica parla da sé – spiega Barnett – più che in qualsiasi altro disco che abbiamo fatto», continuando «anche con le liriche stavolta ho cercato di comunicare davvero qualcosa, non sono vaghe ma parlano di cose reali».
L’album, registrato a Berlino, è stato composto da Jack Barnett tra il 2011 e il 2012 e prodotto da lui stesso insieme a Graham Sutton (Bark Psychosis). Sono molti e variegati gli strumenti e gli effetti sonori che compongono il singolare sound di Fields Of Reeds: l’ampio e diversificato uso del pianoforte (tra cui spicca il “magnetic resonator piano” di Andrew McPherson), orchestrazioni di archi e fiati, cori di bambini, il battito d’ali di un falco e lastre di vetro rotte sono alcuni degli elementi che hanno contribuito a rendere la musica del disco spiazzante ma emozionante al tempo stesso, atmosferica e distensiva.

CALIFONE + AEDI live
Ingresso 10 euro, tessera aics obbligatoria, costo tessera 8 euro, apertura ore 21:30, inizio concerti ore 22:30. 

Torna finalmente a Bologna una tra le band Indie più celebrate dalla critica, sicuramente tra le più longeve attive sulla scena, i Califone di Tim Ruttili, a presentare il nuovo “Stitches” uscito a settembre 2013 su Dead Oceans. In apertura si esibirà una tra le band italiane più interessanti del momento, gli Aedi, a presentare il nuovo “HA TA KA PA”, che vanta il featuring di Alexander Hacke. 

I Califone provengono da Chicago, hanno a curriculum una discografia di 11 bellissimi album e possono essere considerata una tra le più importanti band Indie attive al momento. Il nome della band deriva da quello dell’azienda Califone International, fabbricatrice di attrezzatura audio comunemente diffusa nelle scuole, librerie e aziende americane. La band è composta da Joe Adamik (batteria), Jim Becker (banjo, violino), Ben Massarella (percussioni) e Tim Rutili (voce, chitarra, tastiera). La band nasce dalle ceneri dei  Red Red Meat, band in cui militava il cantante Tim Rutili, e in breve tempo diventa una tra le realtà più in vista sulla scena musicale di Chicago. La musica dei Califone è una combinazione tra il rock-blues dei Red Red Meat, la tradizione  folk, pop a stelle e striscie e  il suono di band elettroniche come Psychic TV  rielaborate a riprodurre un suono distintivo e originale.
In questi lunghi quindici anni di carriera la band ha sempre lavorato nell’underground, magari senza mai toccare le cime e gli interessi massimi di pubblico, ma ha sempre e comunque prodotto bella musica, e ora, arrivata al quindicesimo disco, la formazione di Chicago ci regala un disco davvero bello, “Stitches”, non la consueta carrellata di ballatone al flavour del traditional, ma una leggera incurvata che si, prende spunto dai Gastro Del Sol o più in disparte dai Wilco, ma introduce accenti elettronici e virgole pop come a festeggiare l’avvenuta multi-maturità.
E con loro una nutrita filangerie di ospiti, da Eric Heywood dei Son Volt aRob Doran dei Pit Er Pat e via dicendo, un insieme altolocato di musicisti e anime sante che danno vita ad una ubriacatura dolciastra e a suo modo elegante di dieci tracce, tracce che il leader della band Tim Rutili definisce – senza tanti giri di parole – la cosa più bella che il suo cuore abbia mai disegnato nelle sue poetiche splendide. In effetti, senza mai un accenno che possa sancire un qualcosa minimamente tralasciato, il disco scorre agile e morbido, sensazioni e melodie vellutate mai invadenti, piuttosto un sottofondo continuo di chitarre slidate, pianoforti di rimando, occhiate field e tutta quella atmosferica e sognante “americana” che passa negli orecchi come una delicata pioggia dopo un lungo periodo di secca.
Anche se le cose poi non sono mai semplici, le malie ed i misteri della vita oltremodo ci possono allontanare dagli scopi principali tratteggiati, la musica dei Califone ha il potere di alleviarne smussarne le spigolosità e di favorire quella stupenda interpretazione intima di arie fini e spiriti risollevati, pronti a scattare d’amore in avanti, ancora in avanti e brani come gli orizzonti increspati della titletrack, il vento stizzoso “Frosted tips”, la pastorale corale “Bells break arms” o il touch & go che vibra in “We are a payphone” danno la netta visione che i ranghi dell’oltre musica sono sempre attenti a risvegliarsi negli attimi giusti, veri.
Le evanescenze amniotiche di “Turtle eggs/An Optimist” danno fine a questo nuovo lavoro dei Califone, una band dalle immense dimensioni e per chi ascolta un beneficio interiore non indifferente.

In apertura si esibiranno gli Aedi ; la band ha all’attivo due EP e un album “Aedi met Heidi” (2011, Seahorse Recordings / Mukka- ke), entrambi ben accolti dalle riviste specializzate.
L’11 febbraio 2013 è uscito per l’etichetta polacca Gusstaff Records, produt- trice fra gli altri di Tarwater, Hugo Race e Sacri Cuori, il loro secondo album dal titolo Ha Ta Ka Pa.
L’album, ben recepito dalla critica europea e dal pubblico, vede la produzione artistica di Alexander Hacke degli Einstürzende Neubauten, cosa che li porta a suonare in giro per l’Italia ed in Europa (Francia, Svizzera, Germania, Olanda, Polonia, Austria).
Nel corso dei tour, la band apre il live di artisti come gli Akron/Family, Kid Millions (Oneida), Iori’s Eyes e altri.
Il suono descrive un mondo spirituale, che unisce la dolcezza e attitudine punk, la tecnica e cacofonia, melodie eteree e ritmi di sangue.
Un incontro di reminiscenze che mostra l’anima adrenalina della musica nord europea e accorcia il divario con la scena di Brooklyn NY.

DIRTY BEACHES live
UNICA DATA ITALIANA!
Ingresso 10 euro, tessera aics obbligatoria, costo tessera 8 euro, apertura ore 21:30, inizio concerti ore 22:30. 
Il quarto appuntamento della rassegna Express Festival 2013/2014 vedrà esibirsi sul palco del Locomotiv Dirty Beaches, uno degli artisti più prolifici e attesi del momento e a detta dei critici più autorevoli, autore di uno dei dischi migliori dell’anno. L’uomo che si cela dietro al nome d’arte Dirty Beaches è Alex Zhang Hungtai: solo performer, musicista di strada e nomade. Nato in Taiwan, Hungtai ha reso Toronto, Honolulu, Montreal e Vancouver casa propria.

Il termine ‘casa’, per me, è un collage di tutti quei paesaggi fratturati che cerco di mettere insieme”, diceva qualche anno fa Alex Zhang Hungtai a proposito della condizione di apolide che la vita gli ha riservato. Un’estraniazione che il compositore di origini taiwanesi da sempre prova a tradurre in musica: due anni fa percorrendo le misteriose highway di “Badlands”, oggi nel doppio album “Drifters/Love Is The Devil”, laddove quei “paesaggi fratturati” assumono infine profondità tridimensionali.
La parola-chiave di questa ora abbondante di musica è introspezione. Accantonato solo in parte, come si vedrà, lo psychobilly allucinato e le pulsioni suicidiane di “Badlands”, Hungtai parte per un viaggio destinato a scavare ancora più in profondità negli abissi della psiche, non tanto e non solo – ci pare di capire – per un bisogno di catarsi, quanto piuttosto di farsi conoscere all’ascoltatore. La metafora è il viaggio, quelle città e quei luoghi che danno il titolo alle sedici canzoni, cocci che una volta assemblati compongono l’insieme. Un lavoro tutt’altro che facile, e per il quale, infatti, a Hungtai sono serviti sei lunghi mesi di registrazioni tra Montreal e Berlino, nello studio di Anton Newcombe (The Brian Jonestown Massacre).
A livello musicale, la distanza tra il primo e il secondo disco è netta. “Drifters” guarda ancora parzialmente al recente passato: “Night Walk” imprigiona i suoni di una metropoli attutendoli attraverso filtri immaginari: un muro o, più semplicemente, lo spazio che intercorre tra la vita e chi la osserva da una certa distanza. La passione per gli anni Cinquanta già evidenziata in “Badlands” torna in “I Dream In Neon”, mentre il compulsivo mix di contrabbasso e synth di “Belgrade” stratifica allucinazioni prog, fino ad approdare ai chiaroscuri umorali di “Casino Lisboa”.
Di fatto, “ELLI” segna il punto di non ritorno, il momento in cui il progetto Dirty Beaches si distacca da quanto già assodato per cercare nuove forme espressive, tra drum-machine ossessive, cannibalismo urbano (“Aurevoir Mon Visage”) e cambi di passo post-industriali (“Mirage Hall”).
Posizionato all’estremo confine di “Drifters”, “Landscapes In The Mist” è l’esatto punto d’incontro tra il primo disco e “Love Is The Devil”: le parti ritmiche e le tensioni accumulate nei brani precedenti si dissolvono all’istante per dare vita a suggestioni ambient in apparente disordine. Da qui in poi, la materia si fa impalpabile, la ritmica sparisce e il suono non fa che seguire trame invisibili.
Le suggestioni eteree di “Greyhound At Night” e “This Is Not My City”, il corto circuito accompagnato dai tocchi di pianoforte di “Woman”, l’onirica, sottile malinconia di “Love Is The Devil”, la pace surreale di “Alone At The Danube River”, quella drammaturgica di “I Don’t Know How To Find My Way Back To You” e infine la placida quiete dei sensi di “Like The Ocean We Part”, non a caso sconfinante in un lungo silenzio, fino ad arrivare a “Berlin”, nella quale tutto viene rimesso in discussione: è tra le pieghe di questi otto brani svincolati dalla forma-canzone che il progetto Dirty Beaches prova ulteriormente a mettersi a nudo, nella ricerca del contatto con l’ascoltatore. A volte, magari, esagerando  con sperimentalismi e minutaggi. Ma, se ancora non l’aveste capito, Alex Zhang Hungtai non è uno che scende a compromessi.

Giovanni Gandolfi, Ufficio Stampa Locomotivclub
giovanni@locomotivclub.it

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